15 luglio 2015

Identità e talenti

Ultimamente alcune persone, perlopiù quelle che soffrono di un senso di inferiorità e di insicurezza, e che hanno perso alcuni punti di riferimento acquisiti per discendenza parentale, quindi non conquistati sul campo, ma ereditati attraverso un “fattore dinastico”, sostengono sia necessario ritrovare l’IDENTITA’. Sì, parlano di identità nazionale, identità regionale, identità provinciale, identità di cittadinanza, identità paesana, identità rionale, identità del viale e addirittura qualcuno parla di identità nel gioco del calcio! In un’epoca come questa globalizzata, fa venire quasi i brividi parlare di identità: siamo tutti cittadini del mondo, siamo tutti viaggiatori e scopritori di nuove culture. È per questo motivo che a me pare, invece, sia necessario scoprire e conservare una identità e, contrariamente a quanto si pensava fino a pochi decenni fa, individuarla solo sconfinando nelle terre, nelle esperienze e nella cultura altrui. Credo cioè che ci sia bisogno, proprio oggi, di superare i margini, scavalcare i limiti geografici, confondersi con le antropologie diverse dal sé, per ritrovare il proprio ritratto, la propria posizione nel mondo, la propria identità. È vero che il concetto di identità rimane sempre lo stesso dai tempi di Aristotele (che non è il famoso giocatore di calcio della famosa formazione di Oronzo Canà, precursore di una identità, la BIZONA) ai giorni nostri, ma l’identità cambia. Io penso che la nostra identità risieda nei nostri talenti, cioè che la nostra vera identità si possa esprimere solo per mezzo di quello che noi sappiamo fare bene. Talento oggi è una parola di gran moda, ma definiamo il talento, cioè una “Attitudine innata di un individuo che, quando espressa, consente di svolgere con facilità e naturalezza attività normalmente considerate difficili e, quando finalizzata, consente di ottenere risultati non ordinari”. Oggi si selezionano talenti, si giudicano talenti, si escludono talenti. Tutti sono alla ricerca di talenti. Pochi valorizzano i talenti, quasi tutti li vogliono ingabbiare affinché possano esprimere una volontà progettuale predefinita. Nella mia, direi ormai lunga, carriera nel mondo del calcio, prima da giocatore, poi da istruttore ed ora da coordinatore tecnico, ho visto trasformare dei talenti in “eroi della normalità”, con lo scopo di far esprimere loro una identità collettiva non ben definita. Noi oggi, in tutti i campi, abbiamo la difficoltà di trattenere i talenti. Noi dovremmo aiutare ogni individuo ad esprimere il proprio talento per poter avere ancora la nostra identità, fatta di persone capaci di affermarsi e di garantire un futuro. La persona al centro di tutto, al centro di un progetto condiviso da tutti. Solo così potremo concorrere all'affermazione della più intima identità. Questo cosa vuol dire nel gioco del calcio? Nel calcio ho visto squadre piene di talenti non centrare obiettivi e altre, invece, dove giocatori normalissimi che hanno potuto mettere in campo il proprio peculiare talento al servizio di un progetto condiviso, hanno ottenuto risultati straordinari. Sono convinto altresì che soprattutto il giovane calciatore, per poter esprimere il massimo di se stesso ed identificarsi con un progetto, debba condividerlo, rendendosi conto che questo potrà valorizzarlo e non penalizzarlo. Deve, giocando liberamente nella percezione e nell’elaborazione del gioco stesso, poter andare oltre i facili stereotipi che ogni allenatore o dirigente, per eccesso di zelo nei confronti della propria società, può dettargli. Attualmente chi decide di dare un’identità rigida al proprio gioco forma caricature di giocatori che non sono autentici e quindi acquisiscono una falsa identità. Dobbiamo formare giocatori che abbiano un’idea di se stessi, di cosa sanno e di cosa dovranno sapere, cioè che abbiano competenze utili a risolvere situazioni del gioco che verrà. Quello che qualcuno sta facendo ora, predicando di esibire la propria identità, è puro esibizionismo. E nell’esibizionismo c’è poca autenticità, c’è semmai solo bella mostra di una parte di sé.

13 luglio 2015

Dinamismo di un giocatore di calcio

Il calcio è la mia vita, ne parlo quotidianamente, ma in questo spazio mi piacerebbe narrare anche altro. Ho preso spunto da un lavoro nato all'interno della Pinacoteca di Brera lo scorso anno, dedicato al racconto dei dipinti attraverso delle esperienze di vita personali. Mi hanno colpito molto quelle narrazioni, così ho pensato ad un quadro con cui, un po', questo blog è nato.
Vi chiedo per un momento di venire con me dentro al quadro. Eccoci. Per un attimo tralasciamo i dati realistici e facciamoci prendere dalla sensazione di essere in movimento. Le emozioni scaturiscono in modo spontaneo e ci imbattiamo in un conflitto: la memoria. La memoria è il modo più potente per fissare i ricordi e, una volta fissati, i ricordi sono difficili da rimuovere. Qui dentro affiorano i miei ricordi più vischiosi, quelli che provocano emozioni forti. Questo sono io che non ho colpito bene la palla. Questo sono io che corro dietro ad un avversario. Questo sono io che salto. Questo sono io che mi tuffo. Questo sono io… i colori, gli spazi si dispongono attorno a me come in una girandola di emozioni. Ci stiamo muovendo, stiamo giocando e lasciamo che le nostre emozioni vadano e vengano in modo spontaneo. Ascoltiamo i rumori di questi movimenti, è il messaggio della vita che si sta svolgendo intorno a noi. Annulliamo le grida dei tifosi, i canti delle curve, la musica dagli altoparlanti e ascoltiamo, portati dal vento, il brusio soffocato dei compagni di gioco, il nostro ansimare durante la corsa, il frusciare degli scarpini sull’erba. Tutto cambia di significato, tutto è più bello e tutto è profonda emozione. Suoni e rumori ci informano di quanto avviene intorno a noi… … io sento la voce di mio nonno Attilio. Siamo all’oratorio, ho undici anni e sto giocando a calcio. Ho lasciato incustodita la mia bicicletta, quella rossa fiammante da corsa che mi ha regalato lui. Mi sta guardando, disapprova il mio gesto. Lui vorrebbe che corressi in bicicletta. Lui ha corso con Binda e Girardengo e ha sempre odiato il calcio da lui giudicato lo sport del potere fascista. Ricorda ancora le foto sui giornali di quei saluti fascisti prima delle finali mondiali del ‘34 e del ‘38 e quella che nessuno ricorda a Berlino nel ‘36. Mi amava mio nonno, lui mi considerava il suo nono figlio, stravedeva per me, ma non sopportava il fatto che giocassi a calcio. No, quello non me lo perdonava. Io invece amavo e amo quel gioco perché mi penetra la mente e mi porta verso confini inesplorati e di quel gioco ne ho fatto una professione, una passione vitale. Quando debuttai nei professionisti quel giorno di novembre, a bordo campo, con il suo pastrano e il suo cappello a grandi falde, c’era lui con il sigaro in bocca ed un sorriso benevolo che mi diceva: “Amo tutto ciò che ami, figlio mio”. Mio nonno era una persona splendida, rigido nelle sue idee, ma di una coerenza assoluta, al limite dell’autolesionismo. Il suo valore più grande era l’amore per la famiglia. Nato nel 1899 alla periferia di Milano, faceva il contadino e la sua qualifica era quella di mungitore. Contro la sua volontà riuscì a farsi un anno di guerra. Odiava la guerra e odiava ancor di più gli interventisti e probabilmente avrebbe odiato anche Boccioni. Nei suoi racconti sulla guerra, davanti alla stufa nelle serate invernali, sbeffeggiava quegli intellettuali che volevano a tutti i costi la guerra per poi, al primo assalto, piangere come vitelli davanti a fotografie di fidanzate o di familiari. Erano i primi a morire sotto il fuoco nemico, diceva mio nonno, “perché privi di quel coraggio che ci vuole per sopravvivere”, ribadiva tirando una boccata di sigaro dalla parte ardente. Mio nonno era così spontaneo e fumino, a lui saltava subito la mosca al naso. Nella sua testa c’era quel briciolo di pazzia che gli faceva prendere sempre la decisione più scomoda e difficile del momento. Come quella volta che tornando da una trincea del Carso, decise che doveva concedersi una licenza e senza dire nulla a nessuno se ne andò a casa a trovare sua madre ammalata. Non fece in tempo ad arrivarci che fu preso dai carabinieri e riportato al fronte dove per punizione venne esposto al palo in trincea a circa cento metri da quella austriaca. Gli Austriaci erano a un tiro di schioppo, lo vedevano perché era pieno giorno, ma non sparavano. Gli Austriaci probabilmente pensavano: “Quello lì legato al palo è contro al suo esercito, è punito, non spariamo”. Si salvò e appena lo ritirarono da quella postazione di morte, picchiò a sangue il sottotenente che lo insultava dandogli del vigliacco. Così lo presero e lo rimisero sul palo per un’altra mezza giornata. Mio nonno era un contadino ignorante, ma una cosa aveva ben in testa: l’istinto di sopravivenza, aveva il coraggio di vivere. Fu questo che lo riportò a casa da questa e da altre guerre e non l’amor patrio. Umberto Boccioni, empio di amor patrio, era un interventista accanito e con Marinetti condivideva il concetto: “Guerra, la sola igiene del mondo”. Allo scoppio della prima guerra mondiale venne arruolato e distaccato presso il battaglione d’artiglieria d’istanza a Verona. Boccioni partì soldato semplice, lui non desiderava particolari attenzioni, voleva essere uno dei tanti e fare l’esperienza della guerra vera. Solo così, pensava, poteva osservare in modo attivo le situazioni, trarne una morale ed esprimere le emozioni che suscitava un evento drammatico com’è la guerra. Sulle sue tele, trasformando in vorticose nuvole d’energia tutti quei movimenti di uomini e mezzi, avrebbe raffigurato lo strano universo umano. Ma nel suo percorso esperienziale di soldato incontrò una cavalla, certa Vermiglia, che scombussolò i suoi piani, disarcionandolo e trascinandolo nella polvere, facendogli assaporare fino in fondo, fino alla morte, l’umiliazione di chi pensa di essere eterno e immortale e non lo è. Così, in un bel giorno di primavera, quando gli alberi trovano il coraggio di credere che l’inverno sia finito, Boccioni cercava di cogliere un bocciolo da un albero in fiore, ma Vermiglia aveva deciso di portarlo all’apice che si protende verso l’ignoto, verso l’immortalità. Vermiglia vedendo un bagliore in lontananza si mise a galoppare e fu quello il momento fatidico dove Umberto, assertore della velocità, fu sorpreso e scaraventato a terra e, battendo la testa, i suoi pensieri rimasero inermi e immobili sull’espressione artistica di quel fiore ancora in divenire. Vi chiedo di venire ancora con me dentro al quadro. Lo osservo… ritorno a me, alla mia gioventù, quando nelle giornate di primavera inoltrata, sole e brezza sul viso, tutto filava liscio e mi ritrovavo a studiare arte, per l’esame di licenza media, nell’orto di mio nonno. Lui che era curioso come solo un contadino sa essere, si avvicinava e, attirato dai quadri di Boccioni, mi chiedeva cosa fosse rappresentato in quell’insieme di macchie di colore. Gli spiegavo chi fosse l’autore e cosa volesse esprimere nei suoi dipinti, lui scrollava la testa e diceva in dialetto milanese: “El me pias no” (non mi piace). Nonno Attilio era di poche parole. Lo guidava l’istinto, quello che lo aveva fatto sopravvivere in guerra, quell’istinto fatto di sensazioni, di viscere, di natura, e se diceva che una cosa non gli piaceva, non c’era verso di fargli cambiare opinione. Lui, anima umile e semplice, non apprezzava quest’arte astratta, non legata alla realtà vera. A me, invece, Boccioni piaceva. Il dinamismo del giocatore mi trascinava al centro del quadro e tutto intorno era reale: ero io che giocavo a calcio nei colori, nel rosso, nell’azzurro dell’aria, nel verde dell’erba, nel giallo della luce. Ero io, ero energia pura! Atmosfera e movimento in un’unica fusione. Cercavo di trasmettere al nonno quelle sensazioni ancora acerbe ma potenti e lui ascoltava in silenzio, mentre continuava a potare le piante da frutto dell’orto. Non capiva, così come non capiva quel dinamismo violento, così come non capiva il perché giocassi a calcio, ma per amore diceva: “Se piace a te, sarà sicuramente bello”. Lo amavo, amavo la sua concreta consapevolezza, ma come ogni ragazzino ero attratto da quel sogno di gloria impalpabile e avvolgente che solo il futuro può far intravedere. Quel futuro che si era negato ad Umberto, ma che si era presentato puntuale ad Attilio attraverso me che oggi posso essere espressione di entrambi, raccontandovi di come un uomo pragmatico e reale possa ancora entrare in un quadro, correre e gridare “Gol”!

12 settembre 2011

LA GIORNATA NERO-AZZURRA

Settore Giovanile: in famiglia, all'Accademia
Giovedì, 08 Settembre 2011 21:09:28

MILANO - Un ritrovo in famiglia, prima dell'inizio dei rispettivi campionati. Sui campi dell'Accademia Internazionale Calcio, in via Cilea 51, si è svolta la "giornata nerazzurra". L'Inter e l'Accademia Inter, due realtà più che vicine, si sono ritrovate per disputare 8 amichevoli (una per categoria).

L'Accademia Inter, campione d'Italia in carica della categoria Giovanissimi Regionali del Puro Settore Giovanile Scolastico con Benoit Cauet (e che vanta nella propria bacheca titoli come quello di Campioni Allievi Regionali ottenuto due stagioni passate), è una delle sei realtà legate a doppio filo con l'Inter. Grazie al lavoro di esperti come Giuliano Rusca, l'Inter garantisce la qualità del lavoro all'interno di queste strutture.

"Nei centri di formazione si svolge un lavoro a marchio interista, in modo decentrato, su ragazzi di talento e prospettiva, che vengono continuamente monitorati e tenuti sotto l'attento occhio degli osservatori, per capire come meglio crescere le varie individualità", spiega Rusca, uno dei più stimati maestri di calcio del panorama europeo.

I Centri di Formazione Inter sono infatti delle realtà che servono al Settore Giovanile nerazzurro per allargare la base di giocatori a disposizione; realtà certificate e garantite dai tecnici, dalle strutture e dall'esperienza consolidata sui campi del Centro Sportivo "Giacinto Facchetti". Sono infatti continui i corsi di aggiornamento e le riunioni tecniche che F.C. Internazionale tiene con i propri Centri di Formazione, come i contatti tra le differenti società durante l'intera stagione, per scambiarsi informazioni e professionalità.

Le altre realtà certificate da F.C. Internazionale sono: F.C. Enotria 1908 a Milano, Suno F.C., Sarnico, San Giuseppe Piacenza e l'Accademia Como. Strutture ideali per introdurre i giovani al calcio e nella famiglia interista, dove hanno sede anche le Scuole Calcio, invernali ed estive.

(Guarda le foto in esclusive per inter.it)

In un clima di tutta serenità, tra gli applausi, all'Accademia di via Cilea si è giocato fino alle 21. Per la cronaca, questi i risultati dell'interna giornata

Campo 1: Accademia 1998-Inter 1998 (partita a 11); 0-9, marcatori per l'Inter: Piscopo (3); Opuku (2); Braidich (2); Donnarumma; Riolo
Campo 2: Accademia "A" 2000-Inter 2001 (partita a 9): 1-2, marcatori: per l'Inter: Troiano, Confalonieri; per l'Accademia: Spinoglio.
Campo 1: Accademia 1996-Inter 1996 (partita a 11): 1-2, marcatori: per l'Inter: Baldini (2).
Campo 2: Accademia "B" 2000-Inter 2001 (partita a 9): 3-6: Marcatori per l'Inter: Opoku (3); Sorrentino, Valente, Cacciatori. Accademia: Colombini (2), Fontana.
Campo 7: Accademia "B" 2001-Inter 2002 (partita a 7): 2-11: Marcatori per l'Inter: Squizzato (4); Mangiarotti (4); Longo (2); Tordini.
Campo 7: Accademia "A" 2001-Inter 2002 (partita a 7): 2-3: Marcatori: Moretti L.; Noviello; Prandini.
Campo 1: Accademia 1999-Inter 2000 (partita a 11): 1-1: Marcatori per l'Inter Tchetchouwa; per l'accademia De Maria.
Campo 7: Accademia 2002-Inter 2003 (partita a 7): 3-1: Marcatori: per l'Inter Pagani, per l'Accademia Renault C. Renault G. Berno.

20 luglio 2011

LUCA CALDIROLA PRODOTTO DEL VIVAIO DELL'INTER



Caldirola: "L'Inter, un sogno da vivere"
Mercoledì, 20 Luglio 2011 18:59:30 permalink
ROVERETO - Queste le dichiarazioni che Luca Caldirola ha rilasciato a Inter Channel a margine della gara amichevole contro la Cremonese: "Malgrado il caldo e le gambe pesanti, stiamo crescendo. Gasperini è un tecnico che parla, spiega molto e che insegna a noi giovani. I grandi della squadra mi stanno aiutando molto, soprattutto mi spiegano gli errori che commetto e gli insegnamenti sono anche meglio dei consigli. Giocare nell'Inter era il mio sogno e tutto quello che sto vivendo è molto bello".



08 luglio 2011

IL SIGNOR GIACINTO FACCHETTI

"te me paret el Facchetti"
Te ve su e giò come lu
te se dester come lu
te ghe la riga come lu
te segnet come lu...
te paret el Facchetti...
ma ghe nera minga come lu
fort come lu
generus come lu
signur come lu
vuria ves come el FACCHETTI


05 aprile 2011

CONVEGNO A DONECTK

Ucraina: l'Inter un esempio europeo Martedì, 05 Aprile 2011 14:51:23 permalink MILANO - Durante il fine settimana F.C. Internazionale ha partecipato, nelle persone di Stefano Bellinzaghi, tecnico dei Giovanissimi Regionali B e Giuliano Rusca, Responsabile Tecnico delle attività di base del Settore Giovanile nerazzurro, ad un convegno Internazionale sul calcio giovanile, che si è tenuto in Ucraina e organizzato dallo Shakhtar. Oltre all'Inter, al convegno hanno partecipato con relatori rappresentanti, lo Shakhtar, il Barcellona e l'Ajax. Il club ucraino, fondato nel 1936, festeggia quest'anno i suoi 75 anni e il convegno fa parte delle diverse attività celebrative.Aperto a tutte le società sportive che ne facessero richiesta richiesta di partecipazione, il convegno è stato un momento di confronto durante il quale i relatori hanno esposto le proprie metodologie di allenamento. Due giorni di intenso lavoro, con lezioni teoriche ed esercizi pratici sostenuti dai ragazzi del settore giovanile dello Shakhtar, sotto la guida degli allenatori invitati. "Partecipare a questo convegno da relatore, è stato per me, come per l'Inter, un momento di orgoglio" commenta Stefano Bellinzaghi, al rientro in Italia. "Il convegno è stato organizzato in maniera impeccabile e il livello di preparazione degli addetti ai lavori, era sicuramente alto. Tralasciando le esperienze tecnico tattiche, siamo tornati a Milano, con la consapevolezza che stiamo facendo bene, anche in confronto ai migliori club europei. Lo stesso Shakhtar, nel contesto giovanile si sta muovendo bene e gli atleti a disposizione erano dotati di grande ricettività, un fattore che ha contribuito alla buona riuscita dell'evento".L'intervento teorico è stato presentato da Giuliano Rusca, che in accordo con i vertici della società nerazzurra, e nel particolare con Roberto Samaden, ha raccontato quello che è il lavoro quotidiano svolto dagli allenatori interisti: "Abbiamo innanzi tutto presentato l'organigramma e la struttura, anche con riferimento alle società affiliate e i centri di formazione. Abbiamo esposto la nostra missione e il fine di tutto il nostro lavoro. Quindi abbiamo iniziato a parlare più nel dettaglio di quella che è la selezione, la formazione e la valorizzazione dei nostri atleti, suddivisi ovviamente per fasce di età, presentando anche dei video. Bellinzaghi ha poi riportato su campo alcune metodologie sulle quali abbiamo voluto concentrarci. Ci siamo soffermati su come l'Inter concepisce il concetto di squadra partendo dal singolo giocatore e quindi dallo sviluppo della tecnica personale per passare alla tattica di squadra. Cosa più importante - conclude Rusca - è stato capire che proponiamo un lavoro di ottimo livello, un esempio per tutte le oltre duecento società partecipanti, e abbiamo 'imparato' che, per migliorarci, dobbiamo concentrarci sull'intensità con cui svolgere i nostri esercizi. Questo è sicuramente molto importante e cominceremo da subito a lavorare in quest'ottica". Un'ottima vetrina e un contesto stimolante, che ha visto partecipare, tra le altre, molte società russe dal CSKA allo Zenit, al Locomotiv, Spartak, molti club armeni, ucraini, la Federazione Bulgara, squadre austriache e del nord Europa.

19 febbraio 2011

COMUNICARE

Ciò che conta non è ciò che diciamo, ma ciò che il nostro interlocutore capisce
Questa affermazione sembra ovvia. Eppure molto spesso si rischia di concentrare l’attenzione sul messaggio che noi emettiamo e sulla sua coerenza rispetto alle nostre intenzioni – e dimenticare che il messaggio non esiste finché non viene ricevuto.
Nessun messaggio viene ricevuto passivamente. Molti vengono semplicemente ignorati. Quelli che arrivano subiscono un’immediata e profonda trasformazione.
Questa trasformazione avviene in due fasi (che in realtà sono fuse in un’unica, istantanea sintesi percettiva, ma che ci è utile distinguere per capirle).
La prima è la percezione, cioè il modo in cui il ricevente assimila e “fa suo” il messaggio. La ricerca (come l’esperienza quotidiana in tutti i rapporti umani) ci dimostra continuamente come ogni persona tolga, aggiunga e trasformi, per cui ciò che “capisce” può essere qualcosa di completamente diverso da ciò che credevamo di aver detto.
La seconda è il formarsi di un’opinione o di un atteggiamento, che è determinato dal sistema di conoscenze, convinzioni e valori (ma anche dubbi e pregiudizi) già esistenti nella mente del nostro interlocutore. Il quadro è ulteriormente complicato dalla presenza di altri messaggi (principalmente, ma non solo, quelli dei nostri concorrenti) che modificano il contesto e quindi il modo in cui i nostri messaggi sono ricevuti.

24 dicembre 2010

LEONARDO ALLENATORE DELL'INTER


Benvenuto!: Leonardo allenatore dell'Inter
Venerdì, 24 Dicembre 2010 18:52:46 permalink
MILANO - Tutta l'Inter dà il benvenuto a Leonardo. Sarà il tecnico brasiliano, 41 anni, a guidare la squadra Campione del Mondo e d'Europa a partire dal 29 dicembre, giorno della ripresa degli allenamenti al centro sportivo 'Angelo Moratti' di Appiano Gentile.
Leonardo ha siglato pochi minuti fa un contratto che lo legherà all'Inter fino al 30 giugno 2012.
Nei prossimi giorni sarà comunicata la data della presentazione ufficiale.
A Leonardo, il più sincero e grande in bocca al lupo, convinti che saprà mettere la sua classe, la sua esperienza di campionissimo e la sua mentalità a disposizione della Società e della squadra, per ottenere insieme i risultati che tutta l'Inter e tutti gli interisti vogliono ancora.
F.C. Internazionale (DAL SITO DELL'F.C.INTERNAZIONALE)

22 dicembre 2010

I PRINCIPI DI TATTICA INDIVIDUALE NELLA FASE DI NON POSSESSO

I principi di tattica individuale nella fase di non possesso palla, comprendono “la presa di posizione”, abilità che permette di ostacolare o rallentare l’azione avversaria, piazzandosi opportunamente in relazione alla posizione della porta, dell’avversario e della palla.
L’obiettivo principale di ogni azione difensiva è quella di ridurre spazio e tempo agli avversari, al fine di evitare o ritardare il loro avanzamento con l’obiettivo di cercare la riconquista della palla; il tutto dipende da una ottimale presa di posizione di più giocatori. Per recuperare il pallone è necessario prendere posizione davanti al portatore di palla, mentre i compagni più vicini controllano gli appoggi; da qui l’importanza, che tutti i giocatori siano impegnati in fase difensiva con spirito di sacrificio.
In virtù di questo, possiamo affermare che l’azione della presa di posizione, è composta da più elementi fondamentali:
Il marcamento: E’ direttamente collegato alla presa di posizione.
Saper marcare un avversario significa avere la massima attenzione sui movimenti, mantenendo nei suoi confronti una distanza tale da impedire e limitare la sua azione tramite un contrasto o un anticipo. Il marcamento si può definire quindi come un’azione del giocatore mirata a neutralizzare i movimenti e le azioni offensive dell’avversario. Questa componente tattica nel calcio è molto importante perché, un errore in fase difensiva può generare un vantaggio fatale alla compagine avversaria, mentre un buon marcamento può generare vantaggi tattici (ripartente in contropiede).

BUON NATALE A TUTTI


04 dicembre 2010

TATTICA E STRATEGIA

È molto interessante la definizione di strategia che Mario Leoncini dà nel suo breve saggio Elementi di strategia negli Scacchi.
Voglio riportarne alcuni stralci su questo blog:“Se la tattica è lo sfruttamento combinativo di una debolezza e la tecnica è la capacità di vincere una partita considerata vantaggiosa, la strategia è il piano di gioco. Qualcuno, in modo divertente quanto efficace, ha sintetizzato la differenza tra strategia e tattica dicendo: la tattica è sapere che cosa fare quando c’è qualcosa da fare e la strategia è sapere che cosa fare quando non c’è niente da fare.La strategia ha per scopo la formazione di debolezze tali da poter essere sfruttate con colpi tattici o in sede tecnica.La sua formulazione deve naturalmente tener conto di tutti gli elementi presenti sulla scacchiera che però, beninteso, varia al variare della posizione. Non è quindi possibile formulare un piano unico valido per tutte le stagioni ma è anche vero che, data una posizione, talvolta possono formularsi più piani. La scelta del piano dipende allora dall’indole del giocatore ma non si possono formulare piani che non tengano conto degli elementi strategici presenti nella posizione. Un altro errore comune è credere che la differenza tra un maestro e un principiante risieda nella capacità di calcolo; certo, un bravo giocatore è capace di calcolare con precisione anche lunghe varianti; ma la superiorità è soprattutto di ordine strategico. Il maestro sa che cosa fare in qualsiasi posizione senza bisogno di calcoli approfonditi. La formu-lazione di un piano riduce drasticamente la necessità del calcolo delle varianti; in questo senso nel corso della partita il maestro può calcolare meno di un principiante ma vincere lo stesso. E’ per questo che i forti giocatori possono giocare contro molti avversari contemporaneamente in simultanea e batterli."

01 dicembre 2010

LA STRATEGIA NEL CALCIO

La tattica di principio o strategia di gioco: è la scelta che si vuole attuare in prospettiva di una singola gara.
Pressing: può essere difensivo o basso, offensivo o medio, ultra offensivo o alto. E' una tattica collettiva atta alla riconquista della palla, conseguente alla pressione.
Pressione: è un'azione di tecnica applicata (tattica individuale), che ha lo scopo di limitare tempo e spazio al possessore di palla avversario.
Il fuori gioco è una conseguenza del pressing, in quanto la squadra si alza verso la palla e verso i giocatori più vicini alla palla per limitare spazio e tempo agli avversari.
Incroci e sovrapposizione: gli incroci sono azioni di tattica individuale senza la palla che prevedono cambi di posizione, attraverso corse ad incrocio tra due compagni. Si utilizza principalmente in fase d'attacco per liberare spazi.
Le sovrapposizioni sono corse alle spalle di un compagno a cui è stata trasmessa la palla, superandolo nel tentativo di conquistare spazio in avanti o superiorità numerica.
Possesso di palla: è un'azione tattica di reparto o di squadra, mediante la quale si cerca di far liberare degli spazi agli avversari. Si attua attraverso una serie di passaggi semplici, cercando di far girare su tutta la larghezza del campo la palla.
Sostegno o appoggio: andare vicini ad un compagno di squadra in possesso palla, al fine di attuare un possesso palla o un'azione d'attacco.
Superiorità numerica: è la condizione tattica che si ricerca con ogni azione di gioco, in opposizione agli avversari, grazie ai continui movimenti in sincronia nello spazio e nel tempo.